A metà del pittoresco corso del Fella c’è una strozzatura che nei secoli ebbe la funzione di una Termopile d’Italia, si chiamava la Chiusa Veneta, e sussiste tuttora il palazzetto del comandante delle truppe della Repubblica, ora caserma degli alpini, con tanto di scritta ampollosa in onore del suo fondatore, o per lo meno ricostruttore, nobiluomo Contarini:
La Chiusa e l‘Alpe chiudono il confino
De la famosa Italia, ma non ponno
Chiuder l‘honor del saggio Contarino
Porte graziosamente dipinte e solidità militare di costruzione la distinguono dalle case rurali circonvicine. V'è pure una bella fontana fregiata dal fatidico Leone di S. Marco. A sinistra del corso del Fella si apre la Val Raccolana, che dà adito a Sella Nevea, classico punto di partenza per le scalate al Monte Canin e al Montasio, i giganti delle Giulie, alti rispettivamente metri 2585 e 2745. Questa circostanza fece affluire in passato i migliori alpinisti d’Italia e dall'estero ai due vecchi alberghi di Chiusaforte, chiamati Pesamosca e Martina, e la guida Pesamosca fu una delle tre guide predilette del nestore degli alpinisti giuliani, da quell’eletto poeta e scienziato della montagne che è il dott. Giulio Kugy, a cui dobbiamo i più bei libri che illustrino queste nostre stupende montagne.
Un piacevole contagio
Sia per il richiamo esercitato da questi alpinisti, sia per l'antica fama dei due patriarcali alberghi e per la mirabile freschezza dell'aria e dell'acqua, o per fenomeno di contagio, Chiusaforte ospitava specialmente negli anni fra il 1880 e il 1890, una numerosa ed eletta schiera di villeggianti triestini, anzi vorremmo dire il fior fiore degli intellettuali della città e delle provincie dell‘Istria. Molti triestini ormai canuti, appresero in quella borgata alpina, non già l‘italianità, che quella veniva aspirata a pieni polmoni nell’intimità domestica, ma le consuetudini di vita del Regno, vi vedevano lo prima divise di alpini, udivano la prima fanfara e vi bevevano - moderatamente - il primo Chianti. Capo autorevole di quella colonna alpina giuliana era mio nonno, l‘architetto Giovanni Berlam, uomo d'aspetto maestoso e quasi ministeriale, insigne per barba fluente e per vestire correttissimo, che, dopo aver molto e bene lavorato nell'arte sua, appresa a Venezia negli anni fortunosi del 1848, s'era ritirato ad un "otium cum dignitate".
Soggiorno di anime elette
In quegli anni l'irredentismo era più acuto ed esacerbato che mai: era vivissimo il ricordo del supplizio di Oberdan ed erano giovanissimi gli esuli implicati in quella congiura. Con loro erano i fuorusciti, i quali si erano dati alla macchia per non aver voluto partecipare alla guerra di Bosnia del 1878.
E venivano a Chiusaforte l‘animoso ed infiammato poeta parentino Giuseppe Picciòla, il fedelissimo del Carducci, e vi poetava quei suoi carmi saturati di profumo di ciclamini e di timo; dal corso dei torrenti limpidissimi traeva immagini e somiglianze, che ritroviamo poi frequenti nelle sue prose e nei suoi versi. E con lui venivano l‘on. Salvatore Barzilai, il prof. Giacomo Venezian, morto da eroe sul Carso, e quell’anima eletta di Silvio Sbisà, pure parentino, di cui soltanto gli intimi conobbero il tesoro di cultura, di bontà e di patriottismo.
Nella gran tavolata a ferro di cavallo piantata nel mezzo della veranda lignea eretta a picco sul Fella si notava la testa lanosa come il vello di un agnellino di Giuseppe Caprin, sempre arguto ed anche un po’ tagliente, moderato da quell’angelo di bontà che era la sua consorte Caterina Croatto-Caprin, fida collaboratrice nelle sue opere letterarie.
V'era la figura aristocratica e sofferente di Riccardo Pitteri e della sua gentile consorte donna Clari, che talora deliziava il crocicchio dei buoni conoscenti col suo canto ben modulato e di ottima scuola. Pitteri era modestissimo, nascondeva i suoi talenti letterarii e la profonda cultura con un pudore da sensitivo. A chi voleva rendergliene omaggio, rispondeva con quella sua voce un po’ cavernosa e con quella sua erre arrotata: «Io riconosco d'avere una sola cultura: quella delle storielle sporche: le conosco tutte! »
Povero e caro Riccardino, spirato alla vigilia della redenzione, tanto schivo e fine quanto si calunniava con tale affermazione.
Un artista fra i monti
E c'era mio padre, Ruggero Berlam, tempra d’artista altrettanto valida nell’architettura e nella pittura, che eseguiva con alacrità e sicurezza sorprendenti quei suoi bozzetti ad olio dei monti e delle valli circostanti che ancor oggi riscuotono il plauso incondizionato degli artisti, anche giovani, che li ammirano nei mio eremo tricesimano. Piero Vendrame, declamatore efficacissimo, dalla vece stentorea, declamava le poesie del Carducci, del Pitteri, del Picciòla, ponendone in evidenza tutta la perfezione per mezzo del suo organo eccezionale.
Poco mancò che il Carducci stesso, villeggiante lì vicino, a Piano d’Arta, non ottemperasse all’invito del suo fido discepolo, Giuseppe Picciola, e non venisse ad onorare questo cenacolo d’intellettuali e di patrioti d’una sua visita, che li avrebbe portati al parossismo dell’entusiasmo. Ma poi la cosa non poté effettuarsi per un richiamo d’urgenza che il maestro ebbe da Bologna. Compariva, di quando in quando, l‘atletica figura del torreggiante dott. Kugy, tedesco nell'anima, ma affratellato nell’amor dell’Alpe all’italianissimo avvocato Bolaffio ed ai più valenti cultori della montagna udinesi: Federico Cantarutti, Edoardo Tellini, il famoso Marinelli, l’erudito Gortani e tanti altri valentissimi che tennero alto il nome del Club Alpino Friulano.
Elemento di gentilezza squisita era la famiglia dell’ingegnere belga D’Heur, dell' Ufficio tecnico municipale di Trieste, che per lunghi anni rimase fedele alla vecchia e simpatica trattoria dei Pesamosca.
I titolari di questa erano il zoruttiano signor Tin, alpinista ed infallibile cacciatore di camosci e la sora Dora, veneranda figura di altri tempi, col «manìn» d’oro, il fermaglio {«pontapetto»), col cammeo e colla pettinatura romantica di treccie rigirate al sommo della testa
Si mangiava bene, in quella veranda aerea, e non mancavano cibi caratteristici e prettamente regionali, ch‘erano i più apprezzati. E vi si beveva pure bène, ma sempre con quella signorile moderazione che distingue le adunate di intellettuali da quelle dei cafoni
Feste agli armati
Ma la festa massima era quando giungevano lassù i baldi alpini e gli artiglieri da montagna in esercitazione estiva. Lungo la strada maggiore erano allineati i poderosi muli delle salmerie e i portapezzi; tutti i viottoli erano brulicanti di baldi giovanotti dal cappello duro e nero, allora d'ordinanza, con la penna di corvo ritta da un lato. Gli ufficiali, fatti segno ad ogni genere di sincere effusioni, ascoltavano volentieri le aspirazioni irredentistiche dei patrioti e, pur non vedendo possibile o prossima una effettuazione dei loro voti, davano assicurazioni che nel caso di dover fare sul serio, gli alpini sarebbero stati fedeli al loro motto di « O là o rompi».
Tutto ciò, naturalmente, senza pregiudizio delle doverose due dita di corte alle belle signorine o alle affascinanti signore, e non era raro il caso che nell’inverno seguente si celebrassero delle fauste nozze fra qualche entusiasta e bella signorina giuliana e qualche brillante ufficiale delle truppe alpine. E convien dire che tutte quelle che sono a mia conoscenza furono, più che felici, esemplari. Ora si passa davanti a Chiusaforte per andare alle adunate sportive di Tarvisio: i monti sono gli stessi, i manufatti ferroviari della Pontebbana non sono invecchiati, sebbene abbiano una sessantina di anni, ma a Chiusaforte non c’è più quel complesso animato ed eletto che rimase impresso nelle nostre menti infantili. Altri centri turistici e ben più raffinati hanno soppiantata la zoruttiana trattoria di sor Tin e di sora Dora, che ora dormono quietamente nel cimitero che circonda la pieve.
Arduino Berlam - Il Popolo del Friuli, 31 maggio 1938