L’ARENA, 29 maggio 1970: L'allarme che nessuno ascoltò di Pier Arrigo Carnier
Il generale Giacomo Rizzi, nativo della Carnia, venuto a conoscenza dell’offensiva degli Austroungarici informò il comando supremo. Non fu creduto: venne anzi giudicato tendenzioso, forse perché aveva una moglie tedesca e, in seguito, venne addirittura esonerato dall’incarico.
Uno dei segnali di allarme sull’offensiva austroungarica di Caporetto venne dato verso la fine di settembre del 1917 dal generale Rizzi, nativo di Chiusaforte, in Carnia. Il segnale si basava su alcuni indizi che erano stati forniti dai montanari dell’alta Val Canale alla quale il generale, pur trovandosi a Roma, era rimasto profondamente attaccato e di cui conosceva profondamente ogni sentiero e ogni rupe. Da circa un mese, infatti, i montanari di quella valle avevano notato un’eccessiva affluenza di truppe e di un’enorme quantità di materiale bellico nella zona al di là del monte Canin e precisamente a cave del Predil. Tutto lasciava prevedere che gli austroungarici stessero preparando qualcosa di massiccio e cioè quell’offensiva per demolire il fronte che si allungava lungo l’Isonzo sul quale i due eserciti si stavano dissanguando da tempo. Fritz Weber, attendibile studioso del fenomeno di Caporetto, almeno per quanto riguarda le fonti austroungariche, scrisse sulla massiccia preparazione dello sfondamento: «…l’operazione procedeva, andava avanti, si perfezionava. Duemilaquattrocento convogli ferroviari avevano trasportato tutti gli uomini e gli animali in marcia fra Plezzo e Tolmino. E non ci si può immaginare cosa significasse uno sforzo del genere su un terreno simile in una stagione così avanzata. In cinque settimane vennero portati al fronte circa un milione e cinquecentomila proiettili di artiglieria, settecentosessanta tonnellate di esplosivi, tre milioni di razzi da segnalazione, duecentotrentamila elmetti di acciaio, duecentotrentottomila maschere antigas con mezzo milione di parti di ricambio, milletrecento vagoni carichi di materiale da costruzione, duecento di materiale da medicazione, centocinquanta di filo telefonico, inoltre centomila paia di scarponi e centocinquantamila paia di ramponi da montagna etc. etc…» elementi tutti che il Weber ricavò da un’attenta e precisa consultazione dei piani e delle notizie conservate presso l’archivio militare del ministero di Guerra austriaco. Ma non disse il Weber, come nessun’altra fonte austriaca od italiana, come buona parte dell’enorme quantità di materiale bellico affluì sulle linee di combattimento. Interessava agli austriaci che la grande preparazione dell’offensiva avvenisse, evidentemente, all’insaputa dell’avversario. Lo stesso Weber precisa: «Il tempo orribile favoriva parzialmente la prosecuzione di questa impresa. Per ingannare il nemico sulle direttive dell’offensiva imminente, erano stati adottati diversi stratagemmi. Il contingente dell’Alpenkorps tedesco, ad esempio, non fu portato direttamente nell’Isonzo, bensì nel Trentino. False istruzioni che gli italiani avrebbero sicuramente captato, vennero trasmesse via radio.» Era quindi il momento in cui gli austroungarici operavano in silenzio, con accorgimenti e false segnalazioni che giovassero a far sì che il massiccio contingente di truppe e di materiale bellico raggiungesse, inosservato la linea da cui sarebbe scattata l’offensiva preparata dal generale Alfred Krauss. Per la grande offensiva di Caporetto, sulle posizioni nemiche, si trovano attestati cinque corpi d’armata: il I corpo d’armata austroungarico – il III corpo d’armata bavarese – il LI corpo germanico – l’XI imperial regio corpo d’armata e la 14.a armata tedesca: complessivamente circa centosettanta battaglioni. Secondo la versione fornita dal generale Caviglia, pattuglie austroungariche, favorite dalla nebbia, penetrarono di sorpresa nelle linee italiane senza mantenere alcun collegamento tra di loro. Si trattava di truppe scelte «Jaegers», dotate di un armamento speciale. Ma la novità consisteva nel fatto che, per la prima volta, l’offensiva che tradizionalmente doveva partire dalle vette, partì invece dal fondovalle tralasciando le alture dove si trovavano attestati contingenti italiani che sarebbero caduti successivamente. Una notevole quantità di truppe era giunta sulla linea nemica attraverso i passi di Mojstrovka e soprattutto di Cave del Predil. Il materiale bellico – i proiettili per l’artiglieria, le bombe all’acido cianidrico, armi e altri mezzi, fecero in buona parte, un giro vizioso. La prima tappa di questo materiale fu Cave del Predil, un punto che si può dire secondario rispetto alla linea delle forze austroungariche cui spettava lo scatto dell’offensiva, che si snodava verso sud-est. Di qui il materiale, su carrelli, attraversava una lunga galleria scavata nelle montagne, che pare fosse già disponibile e che sboccava a Bretto (ora territorio jugoslavo). Poi il materiale passava sistematicamente lungo la linea nemica, sui capisaldi occupati dalle armate di Krauss. Pare che il generale Rizzi avesse avuto precisi indizi sul movimento delle truppe e sull’operazione del lungo tunnel. Poteva essere la fine di settembre del 1917 quando il generale, sulla scorta delle notizie di cui disponeva, informò il comando supremo, come testimoniano oggi i suoi congiunti. Ma il comando supremo rimase insensibile: non soltanto rifiutò di dar credito alle notizie segnalate ma, addirittura, le giudicò tendenziose. Probabile motivo era il fatto che il generale Rizzi aveva sposato una tedesca: l’insegnante Fincessa Patske, nativa di Danzica, che insegnava al conservatorio di Berlino. Il generale l’aveva conosciuta mentre si trovava a Berlino, nella veste di capitano accreditato presso l’ambasciata. Probabilmente, come dubitano i congiunti, si pensò che la consorte tedesca esercitasse un ruolo tendenzioso. Successivamente, per motivi oscuri, il generale Rizzi venne addirittura esonerato dall’incarico e fu messo a disposizione. Uno dei testimoni della vicenda è il signor Enrico Martina, nipote del generale, che vive tuttora in Carnia e vi gestisce un albergo di sua proprietà. Il Martina asserisce che, poco prima dell’attacco che portò gli austroungarici allo sfondamento di Caporetto, attraverso il tunnel di Cave del Predil, affluirono anche dei contingenti di truppe. Conferma inoltre che il generale Rizzi, il quale, essendo del genio, sovrintese alla realizzazione di importanti opere nel porto di Trieste, gli confidò più volte la propria amarezza per non essere stato ascoltato. Secondo lui le informazioni furono date per tempo al comando supremo, per cui sarebbe stato possibile, con alcune azioni, compromettere seriamente i preparativi del nemico ed evitare quindi la caduta del fronte e l’invasione della pianura orientale che costò sacrifici durissimi, non solo all’esercito, ma anche alle popolazioni del Friuli e del Veneto.
Pier Arrigo Carnier
Gen. Giacomo Rizzi, 1866-1944
Trattoria F.lli Martina
- Via Roma, 38 -
33010Chiusaforte (
Ud)
Italia