1876, Cenni sul Canal del Ferro
Nel punto in cui le Alpi Noriche perdono il loro nome per diramarsi fra la Carniche e le Giulie e proprio allo spartiacque di Seifnitz (Camporosso) fra il declivio che versa le acque nella Drava e il declivio che scola nel Tagliamento e porta quindi il suo tributo nell’Adriatico, scaturisce un fiume umilissimo, il quale da un lembo della vicina Carinzia penetra nell’angolo nord-est della provincia di Udine, e proprio rimpetto a Pontebba entra in suolo italiano. Ingrossato per via da numerosi affluenti scorre rapido e minaccioso per circa 50 chilometri finché anch’egli non viene a perdere il suo nome, gettandosi nel Tagliamento fra Portis e Venzone. Questo fiume è il Fella, e l'angusta valle che attraversa nel territorio friulano è chiamata Canale del Ferro, che nell’organico amministrativo vigente (1876) coi sette comuni di Moggio, Resiutta, Resia, Chiusaforte, Raccolana, Dogna e Pontebba, costituisce il moderno circondario di Moggio.
Questa valle offre allo sguardo del visitatore i più sublimi contrasti di selvaggio e di ameno, di orrido e di dilettevole. Ora ti si presenta fra due rocce tagliate a picco, ora s’allarga a guisa d’immenso bacino per ricevere le acque delle valli minori che si scaricano nel Fella. I rivi discorrono per burroni spaventevoli donde uscendo formano cascate di mirabile altezza; le creste dei monti dalle tinte svariate, disegnandosi sull’orizzonte, ti dipingono le più stravaganti figure. Sul colle dell’Abbazia, sul calvario di Resiutta, sul Prato di Resia si godono panorami stupendi tanto che un paesista, senza andare fra le Alpi elvetiche, vi troverebbe argomenti per le più fantastiche vedute. Nessuno però s’avvisi di trovarvi le vecchie torri edificate come nidi d’aquila sopra alti dirupi o le fosca castella del medio evo; di siffatti monumenti non offre esempio il Canale del Ferro. Sulle rovine del castello di Mosnitz sorse otto secoli or sono l’Abbazia di S.Gallo, ed il forte di Chiusa fu completamente distrutto colla ricostruzione della strada pontebbana. Solo qualche trave incastrata nella roccia ed un lembo di vecchia muratura, ricordano al passante che ivi sorgeva l’antica bastita che asserragliava la valle, una volta potente baluardo contro le invasioni straniere. Ma se natura fu prodiga a questa contrada di sue fantastiche bellezze, l’arte e l’industria contribuirono non poco a renderla meno severa. Quei muricciuoli in prossimità dell’abitato che s’innalzano fon dove può la cultura a sostenere il terreno che minaccia rovina, rappresentano la lotta costante tra le grandi forze naturali che rapiscono all’uomo il campo e il praticello posseduto lungo le rive dei fiumi, e l’uomo che con paziente lavoro se ne rivale, togliendo alla sterilità e bonificando le frane montuose dove l’acque non potranno arrivare. È questo un vago spettacolo che ti conforta il core e ti prova l’indole operosa di quei bravi montanari. E siccome lo scarso prodotto del suolo non basta al loro mantenimento, emigrano la maggior parte nelle più remote provincie dell’impero Austro-ungarico e al sopraggiungere dell’inverno fanno ritorno in patria a godervi il frutto dei sudati risparmi. Le donne intanto attendono alla famiglia, lavorano le terre e sostengono fatiche incredibili, tutto trasportano sulle spalle, e biade e legna e fieno, in una parola quanto occorre ai bisogni della vita.
Toltane la valle di Resia che fa eccezione per suo costume caratteristico e originale, non v’ha differenza notevole fra il vivere e vestire friulano, quando si prenda a tipo quello della metropoli, e il vivere e vestire del Canal del Ferro. Lo stesso dicasi riguardo al linguaggio e se si eccettui la gorgia e qualche voce germanica che non poté attecchire più giù, il dialetto che si parla a Pontebba è identico a quello che si parla nell’estrema regione friulana.
La popolazione che nel 1672 sorpassava di poco i 5000 abitanti, andò gradatamente aumentando, talché oggi se ne contano circa 15.000.
Il clima può dirsi temperato: vi alligna benissimo la vite e d il fico, ma viene sopra ogni altra preferita la coltivazione dei gelsi, che costituiscono per gli abitanti un provento ragguardevole. I venti boreali rendono l’atmosfera secca e salubre, in primavera succedono frequenti sbilanci di temperature ed in autunno vi hanno le piogge lunghe e dirotte; di rado però è funestato dalla gragnuola.
A queste cause vanno attribuite le malattie flogistiche che vi predominano; le febbri intermittenti si manifestano specialmente in autunno e sono cagionate dall’abuso di acque frigide e dall’abitudine di ridursi a ricovero dopo il lavoro in casolari mal difesi e collocati in luoghi piuttosto eminenti. Il Canale del Ferro confina a ponente colla Carnia, a tramontana e levante colla Zeglia (Gail-thal) e coll’alta valle dell’Isonzo, a mezzodì coi circondarii friulani di Gemona e di Tarcento. Pontebba, come paese di confine, offre un fenomeno curioso e interessante. Un torrentello, la Pontebbana, che trae le sorgenti dai monti della Carnia, scende sulla destra del Fella ed attraversa due gruppi d’abitato congiunti assieme da un breve ponte di pietra. Quel torrente, quel ponte dividono due nazioni, due lingue, due regni. Di qua sono puri e pretti italiani, e il sangue, il dialetto, i costumi, le costruzioni tutt’affatto friulane: di là case, lingua, fisionomie, costumanze germaniche, quasi a conferma dell’assioma che le nazioni possono toccasi senza congiungersi. D’ordinario sono fiumi, come il Reno, l’Oder, il Danubio: sono schiene di monti come i Pirenei ed i Carpazii che tengono le nazioni separate e disgiunte; qui invece un torrentello, confine tutto al più adatto fra due privati poderi. Di qua e di là si vive nello stesso bacino, un uguale clima ed uno stesso cielo dovrebbero far sentire i proprii influssi ed assimilarne gli abitatori, eppure da secoli si mantengono quali di presente li trovi.
Prescindendo dalle invasioni dei popoli nordici e slavi che non poterono mai fissarvi stabile dimora, la Ducea di Carinzia che abbracciò per qualche tempo i paesi lungo la valle fino a Venzone, non trasse mai il Canale del Ferro a condividere le sorti degli slavi tedeschi al di là del confine odierno.
Ma il nome di Canale del Ferro donde lo trasse la contrada? Dall’abbondanza di tal metallo trovato per avventura nei tempi andati fra quelle montagne? Se si stesse alla volgar tradizione parrebbe che si: ma la è una tradizione affatto gratuita, dappoiché gli studi geologici ultimamente praticati su tutta l’estesa delle prealpi, non fecero scoprire tracce abbondanti di questo metallo. È forza quindi ripetere l’origine di tal nome dal ferro carintiano che per questo valico alpino scendeva abbondante in Italia. Del resto, noi siamo innanzi ad una denominazione moderna e in mezzo a tanta oscurità dell’antica geografia e più ancora dell’antica etnografia, il nome primitivo ci sfugge, come pure ci mancano indizii per rilevare quali fossero i primi abitatori. Troppo incerte sono le asserzioni si Plinio e si Strabone che collocarono fra l’Alpi aquilejesi i Lepontii ed i Taurisci, onde l’abbate Tommaso Misssoni, avvalorandosi di un passo di Plinio interpretato a suo modo e di poche monete noriche rinvenute in prossimità dell’abitato, fu vago di collocare da quelle parti l’antica Noreja Taurisca, la di cui postura sarebbe stata con maggior fondamento constatata sull'Isonzo, nelle vicinanze di Gorizia.
Ad ogni modo le denominazioni topografiche che non hanno significazione se non nell’antico linguaggio dei Celti e lo stesso fiume che attraversa la valle (Fella o Vella in celtico vorrebbe dir bianco) giustificato dall'alveo calcare in cui discorre, paleserebbero assai meglio quali fossero i primi popoli che gl’imposero tal nome. Rintracciati i Celti, collo estendersi dell’impero romano il paese si fece latino, l’antico Muez diventò Modium e Mosatium e lungo la valle le stazioni ricevettero nomi latini (Domnia, Pontavia). Allo sfasciarsi dell’Impero, tribù nordiche e slave (Russeni, Rossolani) si rovesciarono sugli antichi abitatori e lasciarono tracce di loro dimora nelle denominazioni slave di Golovitz, Chialovitz, Povizzi, Visocco e Patocco. Questi popoli però non sarebbero rimasti lungo tempo in stato di depressione e sperperamento, ma si sarebbero levati contro gli usurpatori costringendoli a riparare al di là delle alpi o a cercarsi un asilo fra le gole dei monti (Resia, Studena). Per tal modo il Canale del Ferro si mantenne latino e confuse le sue aspirazioni con quelle della gran patria comune.
Le reliquie scoperte a diverse epoche mettono fuor di dubbio l’insediamento e a dominazione romana lungo la valle. In Moggio serba la denominazione di Castellerio (Chiastelirs) la sommità di un poggio con tracce di fossato che lo circonda: l’anno 1857 si scavò un’urna di pietra contenente due scodellette di metallo, un fermaglio d’argento e due anelli di ferro. Disposte all’ingiro eranvi da cinque a sei olle con entro poche ceneri e qualche moneta romana.
Lo stesso anno sotto le mura del monastero si rinvennero monete d’argento romane del secondo triumvirato e molte altre di rame piccolissime, senza caratteri alfabetici, coll’impronta di una stella. Erano tutte in un gruzzolo riposte in un campanello di bronzo di forma assai singolare. Monete da trecent’anni avanti l’era volgare fino a Costantino, utensili romani, un rogo, materiali da fabbrica si scavarono in copia nelle vicinanze di Dogna all’epoca della ricostruzione della strada pontebbana. L’abbate di Moggio tiene una scatola d’avorio, antica suppellettile della chiesa, poco dissimile da quelle usate nel Saturnali per rinchiudere i giocali da regalarsi alle spose. In un pilastro del Convento è incastrata una lapide evidentemente romana e che ricorda il nome di Lucio Accio (1). Finalmente fra Moggio e Resiutta, nel luogo nominato la Riva storta si trasse una colonna miliare di bellissimo marmo col numero LXIX.
Niun valico alpino di questo più agevole. L’ampia via Pontebbana rifatta tra gli anni 1833-34 sopra disegno dell’ingegner Alessandro Malvolti, mena allo spartiacque di Camporosso, 863 metri sul livello del mare, senza eccedere in pendenza il 5 per cento. Quest’opera costò al Governo austriaco circa tre milioni e mezzo di lire. Ora il Fella che più non scorre entro un alveo profondo, ma in grazia delle corrosioni avvenuta vaga a capriccio in un letto piano ed aperto, e le chine dei monti che, per non essere come un tempo sostenute dalla crosta boschiva vanno continuamente franando, rendono la manutenzione piuttosto difficile e costosa.
Fra i monti che costituiscono la valle del Fella meritano speciale attenzione il Canino e il Montasio. Il Canino da cui scaturiscono più torrenti, ha una base di 22 chilometri quadrati: sorge a nord-est di Resia e raggiunge l’altezza di 2486 metri sul livello del mare. Le acque del versante occidentale scorrono nel Fella per sboccare nell’Adriatico; le acque del versante meridionale vanno pel Rivo bianco nell’Isonzo; quelle del versante settentrionale pel Rio del Lago si scaricano nella Drava e mettono foce nel Mar Nero. Verso la cima si hanno le nevi perpetue e nel luogo denominato la rupe o roccia nera si rinviene il cristallo di monte (2). Il Montasio ha vari culmini dei quali i più eminenti sono il Zouf ed il Cimone. Il primo si innalza a 2400 il secondo a 2380 metri sul livello del mare (3).
I geologi che visitarono finora quelle catene le dissero assai povere di miniere metalliche e di carbon fossile. Si parla tuttavia di miniere ferrifere esistenti nella valle dell’Aupa; e nelle vicinanze di Pietratagliata si scorgono le tracce di lavori eseguiti che farebbero supporre la presenza di una miniera, la quale, al dire dei più vecchi, sarebbe stata abbandonata per deficienza di combustibile (4).
È comune ed antica tradizione che nei monti soggetti alla giurisdizione abbaziale di Moggio esistesse, quattrocento anni or sono, una miniera aurifera scoperta da padron Melchiorre tedesco. Nell’archivio abbaziale si trovò infatti un’investitura concessa dal governatore conte Ludovico Porcia in data 9 giugno 1467 al nominato Melchiorre foliendi aurum et argentum in omnibus montibus totius districtus abbatix Modii, solvendo semper decimam abbatiae; ma non è fuor dal caso che a quell’epoca in cui la scienza metallurgica non aveva raggiunta l’attuale perfezione, si possa aver scambiata per oro quache pirite; e siccome i possedimenti abbaziali si estendevano in Friuli non solo, ma eziandio nella limitrofa Carinzia, la citata investitura potrebbe riferirsi ai monti della Zeglia ove esiste o almeno esisteva vent’anni addietro una miniera di questo metallo.
Lungo il Resia, presso Roveredo sul Fella e nella valle d’Aupa in prossimità di Grauzaria, abbondano le cave di gesso. Di questo se ne fa uno smercio discreto e lo si adopera comunemente nella fabbricazione degli stucchi e come ottimo concime nei prati artificiali: non fu esperito, ma secondo il prof. Taramelli potrebbe trovare applicazione nei lavori d'intarsio segnatamente per mobili di lusso. L'alabastro che d'ordinario si forma nelle cavità gessifere fu rinvenuto in quei dintorni e si pretende che sia stato scavato in val di Aupa l'alabastro che servì ad ornar l'altare maggiore della chiesa di S.Giorgio in Udine.
Si trovano pure nel Canale del Ferro i calcari per calce idraulica; le esperienze fatte fin qui diedero ottimi risultati sia per riguardo all'abbondanza delle cave che per la forza del cemento.
Merita qualche attenzione il deposito di schisti bituminosi scoperto in Resiutta. A giudizio del professor Taramelli, questo combustibile per le qualità fisiche e chimiche corrisponderebbe perfettamente al Cog-ead inglese; la sua fiamma è lucida e bianchissima, la distillazione non dà tracce di sostanze ammoniacali o sulfuree, lascia per residuo poca terra calcinata e non da coke. In una parola questo schisto potrebbe far concorrenza al Cog-ead sotto ogni rapporto. Il deposito non è limitato soltanto al Resartico, dove raggiunge una potenza complessiva di cinque o sei metri, ma ricompare lungo il Resia e il Venzonassa, nel canal di Socchieve e al lago di Cavazzo.
In val d'Aupa, circondario di Moggio, si sta scavando una miniera di Galena argentifera. Il materiale si presenta sotto l'aspetto il più lusinghiero e le analisi fatte a Genova ed a Vienna hanno dato splendidi risultati. I gessi, i cementi idraulici, il carbon fossile e il piombo formeranno oggetto di più esteso commercio quando la locomotiva attraverserà la valle del Fella.
Nel Fella mettono foce cinque torrenti principali percorrenti altrettante valli popolate di abitanti. Essi sono: L'Aupa, il Resia, il Raccolana o Reclanis, il Dogna e il Pontebbana lungheggiante i casali di Studena.
Il taglio dissennato dei boschi effettuatosi su larga scala nei tempi andati fra quelle montagne produsse, a diverse epoche, spaventose fiumane che cagionarono gravi devastazioni e furono causa di enorme dispendio tanto ai comuni che all’erario. Senza parlare di quelle degli anni 1596 e 1692, sulle quali non mi fu dato raccogliere precisi dettagli, la piena del 1747 asportò a Pontebba venti e più abitazioni e al comune di Moggio arrecò un danno di settanta mila lire. Tanto disordine spinse il veneto Senato ad ordinare la costruzione di quei solidi ripari che tuttora difendono Pontebba da nuove sciagure e che in un coi murazzi di Resiutta furono costruiti sotto la direzione del bassanese Bartolomeo Terracina. L’ultimo di agosto 1837 tre ore di dirottissima pioggia bastarono a gettare lo spavento e la desolazione lungo il Canale del Ferro. Vasti tratti di campagna furono coperti di ghiaja, prati smottati, case, orti, seghe, molini e perfino il cimitero di Chiusa furono travolti dall’onde. Maggiore fu il danno che risentì l’erario, conciossiaché la strada di recente costrutta con tanto dispendio, fu in gran parte e a lunghi intervalli quasi completamente distrutta; tre ponti in pietra atterrati e molti altri sepolti sotto le alluvioni dei rivi soprastanti. Un milione di lire non bastò a riparare tanto disastro. Non erano per così dire ancor rimarginate le piaghe prodotte da quel tremendo flagello, che sopraggiunse il nubifragio del 1848. Piovve dirottamente dalle 2 alle 7 del pomeriggio del1 luglio: il torrente Pontebbana ingrossato dalle acque impetuose del Bombaso (Bombach) crebbe a tal misura che ben presto, superati i ripari, si rese padrone del villaggio di Pontebba tedesca asportandovi sette case. Un ufficiale polacco che erasi ridotto fra un ramo e l’altro del rovinoso torrente, cercò uno scampo nel nuoto, ma fu travolto dall’onde. Non meno terribile fu la piena del 1851, nel qual anno avvenne lo scoscendimento di cui si osservano ancora le tracce nelle vicinanze di Dogna.
La povertà generale della contrada non dischiusa ad una vita attiva se non dopo cessato il governo della Repubblica, l’indolenza in cui vissero i nostri vecchi per mancanza di ogni stimolo che li eccitasse ad uscire dalla breve cerchia dei loro privati interessi, fecero sì che niun uomo riempisse una pagina di storia politica, letteraria o militare. La lontananza da ogni centro di vita pubblica, aggravata dai mezzi poco agevoli di comunicazione, scusa in parte tal fatto; ma non può tacersi che in quei luoghi grandeggiò per tre secoli un’insigne abbazia di Benedettini e che a quest’ordine suolsi dare il vanto di aver contribuito nell’età di mezzo a tener viva la fiaccola della scienza. Ma lasciando pur tuttavia la pretesa di presentare nomi illustri per fama che si estenda oltre i limiti ella provincia, non può dirsi assolutamente che il Canale del Ferro, godente di un aria si pura ed elastica, con tanti e cosi meravigliosi contrasti si natura non abbia dato avita a qualche uomo di vaglia. Fra questi deve collocarsi l’abbate Tommaso Missoni da Moggio, uomo di acuto ingegno e versato nelle scienze teologiche e filosofiche; amante della vita privata ricusò costantemente qualunque pubblico officio: pago di modesto censo, consacrò la vita allo studio dei classici, scrisse sulla pastorizia e sulla selvicoltura ed i manoscritti che di lui ne rimangono, sotto la semplicità dello stile in cui furono dettati, racchiudono i più savii precetti di economia domestica e sociale. Morì settuagenario nel 1827. Giorgio Bernardo Micossi da Pontebba detto a Vienna il conte di Mikosch. Nacque in Pontebba l’anno 1681; fu consigliere di Stato e ministro delle finanze, più tardi nominato dall'Imperatore conte del Santo Romano Impero. Marsilio da Pontebba che nel secolo scorso insegnò botanica all'università di Padova. Pietro Pittino di Dogna fabbricatore di pianoforti nella sua gioventù, che divenne in seguito un distinto speculatore. Viaggiò la Germania, la Francia. l’Inghilterra e soggiornò parecchi anni in America, donde gli venne il soprannome di Americano. Quest’uomo che, nato da oscura famiglia, appena aveva imparato a leggere e scrivere nella scuola del villaggio, arrivò a parlare per eccellenza l’italiano, il francese, l’inglese, lo spagnuolo ed il tedesco. La sua conversazione era piacevole ed istruttiva e ragionava con tanto senno sopra ogni argomento da crederlo consumato sui libri.
Come d’uomini illustri, così di oggetti d’arte è assai povero il Canale del Ferro. In tanta povertà ricorderò nonostante una Madonna del Politi ed un S.Rocco del Palma esistenti nella Chiesa parrocchiale di Pontebba, e l’Altare maggiore, lavoro in legno assai pregevole del XIV secolo, gli unici oggetti forse che meritano qualche attenzione.
A.De Gaspero
Pubblicato su "Il Giornale di Udine" dal 25 al 28 gennaio 1876.
Note:
(1) Narra Svetonio che Lucio Accio fu tragico insigne e che Giulio Cesare lo colmò di favori arricchendolo di molte terre. Dopo le ultime guerre civili furono mandate in quei luoghi parecchie colonie di veterani a con esse altre classi di cittadini. È possibile che fra queste si trovasse Lucio Accio che dovette sicuramente essere persona ragguardevole se gli fu concesso l'onore del sepolcro.
(2) Una memoria scritta da persona che ascese il Canino cent’anni or sono, sopo di aver fatto menzione del cristallo di monte dice che chi volesse cercare vi troverebbe Zaffiri e diamanti (sic)
(3) Montasio. Nelle antiche carte Montem Habilem – Montem Agium e Moltasium
(4) Sui primordii del secolo passato, a quattro miglia da Moggio nel luogo denominato la Palla del Ferro estraeva in abbondaza questo metallo. Per rendere la miniera nuovamente proficua basterebbe la protezione del Governo e l’uso del carbon fossile esistente in val di Resia (Relaz. dell’abate Missoni al Comandante il Circondario di Passariano).